Che sorpresa il nuovo film diretto da Marco Bellocchio e accolto con lunghi applausi al Festival di Cannes! Uscito dalla Croisette senza alcun riconoscimento, Il Traditore è però riuscito a far parlare di sè e ha già dimostrato, grazie ai buoni incassi dei primi giorni e ai 24 paesi cui sono stati venduti i diritti, di essere un film con un messaggio potente e magnetico per il pubblico.

Giusto un accenno alla trama, che è però molto lineare nel ricostruire la storia di Tommaso Buscetta, testimone chiave nel maxi-processo ai leader di Cosa Nostra che si risolse in 346 condanne e 29 ergastoli. Dalla sua affiliazione in gioventù, quando ancora non si sparava a donne e bambini ed “esistevano delle regole”, fino alla decisione di confessare, al rapporto cruciale con il giudice Falcone e ai processi in tribunale. In tutti questi anni, Bellocchio indaga tra le pieghe di un personaggio fatto di luci e ombre, la cui vera essenza sembra impenetrabile e sempre celata all’occhio esterno.

Buscetta non è un eroe, ma il film di Bellocchio lo rende agli occhi dello spettatore un uomo coerente con i suoi ideali di Mafia. L’incontro con il giudice Falcone, un uomo con un forte senso di giustizia e contrario a ogni tipo di compromesso, lo condurrà a pentirsi, per un puro istinto di sopravvivenza e di difesa dei suoi familiari non uccisi dai Corleonesi. Buscetta rivendica il suo passato mafioso ” tradito” dalla violenza e dalla spietatezza dei rivali, cercando una sorta di riscatto morale, che nessuno può e mai potrà concedergli.

Che sorpresa dunque vedere un Bellocchio inedito, che non somiglia a nessun suo film passato e che cita a piene mani dal cinema italiano e americano.

La prima mezzora di film (a nostro avviso la più debole) introduce i personaggi in modo piuttosto debole, con una chiarissima somiglianza all’inizio de Il Divo di Paolo Sorrentino, che in una sequenza dal montaggio frenetico ricostruiva le uccisioni dei vari Pecorelli e Dalla Chiesa. E’ anche chiara l’intenzione, come nei migliori gangster movie americani, di concentrarsi sui fatti più che sui personaggi, con uno stile apertamente commerciale.

Dall’arresto di Buscetta in poi, il film finalmente trova la sua identità e diventa grande cinema, con alcune sequenze di altissimo livello. In particolare Bellocchio riesce a ricostuire con maestria lo zoo sociale e culturale che l’Italia era in quegli anni. Se la metafora non fosse abbastanza chiara, il regista inquadra addirittura delle iene in gabbia per simboleggiare i vari Riina e Calò, protagonisti di un processo televisivo che somiglia a un reality show.

Il film qui si fa quasi documentaristico e lineare, può risultare lungo ma è un rischio necessario, perché non tutti hanno vissuto il clima di quegli anni o conoscono lo squallore, politico e antropologico, dell’Italia dell’epoca. L’intento di questo biopic d’autore è fare luce su uno dei punti più oscuri della nostra storia, ossia il rapporto tra Stato e Mafia, non sempre agli antipodi e purtroppo spesso contigui. In alcune parti, Bellocchio tende a teatralizzare la storia, ed i personaggi attorno a Buscetta risultano essere quasi tutti ombre, defilati e secondari al plot.

Pierfrancesco Favino interpreta il ruolo cruciale della sua carriera, non rendendolo una caricatura e calandosi pienamente nelle molteplici sfumature caratteriali di Buscetta.

L’abilità di Favino di restituire il disagio interiore del personaggio anche solo da una leggera smorfia o inflessione della voce riesce a tenere in piedi il film anche quando Bellocchio si lancia nelle consuete sequenze oniriche. L’idea di realizzare un ritratto del mondo mafioso non tanto realistico ma piuttosto impersonale, come a voler tinteggiare un sottobosco criminale da cui tenersi a debita distanza, è una scelta curiosa, che serve anche a differenziarsi dai tentativi dei vari Sorrentino, Garrone, Giordana.

Riassumendo la recensione in una sola frase: Il Traditore è un film assolutamente necessario, ben interpretato e con una seconda parte impeccabile, che però non lascia il segno fino in fondo. Nelle mani di un regista diverso da Bellocchio, forse con meno legami culturali con la vicenda narrata, sarebbe potuto essere un piccolo capolavoro. Nelle mani di un qualunque regista televisivo, solo una banale ricostruzione degli eventi.

 

 

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